Questo articolo è stato precedentemente pubblicato nel 2020.
Nella Torah, Giacobbe viene chiamato in due modi: Giacobbe e Israele, con quest’ultimo nome che rappresenta un livello più alto del nome Giacobbe. L’ Ohr HaChaim, Rav Chaim ben Attar, chiede perché la porzione di Vayechi, che parla dei 17 anni in cui Giacobbe fu in Egitto, fa riferimento a lui come Giacobbe e non come Israele. La risposta è che il nome Israele, al di là dell’elevato livello spirituale che rappresenta, è indicativo dei tempi felici di Giacobbe. Ogni volta che Giacobbe era felice veniva chiamato Israele, e ogni volta che era triste veniva chiamato Giacobbe.
“Ci sono due parti della nostra anima.”
Ci sono due parti della nostra anima; ognuna di esse ha un “Giacobbe” e un “Israele”. La parte più bassa della nostra anima, con cui viviamo la maggior parte del tempo, si chiama Giacobbe, mentre la parte più alta, che è connessa alla Luce del Creatore, si chiama Israele. Quando la Torah fa riferimento a Giacobbe o a Israele, in realtà parla di noi – della parte bassa della nostra anima che prova tristezza, e della parte alta che prova gioia e che è realmente connessa alla Luce.
Durante lo Shabbat ci viene detto che riceviamo un’anima aggiuntiva. Cosa significa? Che abbiamo l’opportunità di attrarre a noi quella parte della nostra anima più pura ed elevata. E l’anima aggiuntiva che arriva durante lo Shabbat ci connette al nome Israele; perciò è importante capire che se siamo tristi durante lo Shabbat spingeremo via l’anima addizionale, quella parte più elevata della nostra anima. La stessa cosa valeva per Giacobbe: riusciva a manifestare la più elevata parte della sua anima solo quando era gioioso.
“Ci è data l’incredibile opportunità di interagire con la nostra realtà perfetta”.
Di conseguenza, uno dei doni dello Shabbat è che se siamo gioiosi, la parte perfezionata di noi, l’anima aggiuntiva, può scendere nelle nostre vite. Se invece siamo tristi o depressi durante lo Shabbat, non può riuscirci.
Una sera dopo lo Shabbat, un grande kabbalista stava meditando. Visto che ci è insegnato che bere qualcosa di caldo subito dopo lo Shabbat ci aiuta con la nostra correzione, uno dei suoi studenti gli portò una cosa calda da bere. Gli occhi del kabbalista erano chiusi, chiaramente immersi nei suoi pensieri. Dopo un’ora la bevanda si era raffreddata, così lo studente gli portò un’altra tazza calda. Anche questa si raffreddò. Quando lo studente portò al kabbalista una terza tazza, vide il suo insegnante aprire gli occhi, così gli chiese “A cosa stavi pensando?”.
L'insegnante rispose “Ogni venerdì sera, la parte perfetta della nostra anima scende nel nostro mondo e avviene una correzione; c’è della Luce che questa perfetta parte della nostra anima spera e desidera che riveliamo e manifestiamo. Quando lo Shabbat finisce, la nostra solita anima chiede a quella aggiuntiva: ‘Ho raggiunto qualcosa? Ho corretto qualcosa?’ e se la risposta è sì, entrambe le parti dell’anima sono felici. Ma se la risposta è no, allora piangono entrambe. Così, a volte, quando l’anima aggiuntiva se ne va al termine dello Shabbat, lo fa con un immenso dolore perché non abbiamo corretto nulla durante lo Shabbat. Se potessi mai sentire il pianto delle anime, sarebbe impossibile cancellarne il suono dalla tua mente perché è incredibilmente doloroso da ascoltare”.
Il kabbalista continuò quindi a spiegare al suo studente: “Ogni Shabbat, attraverso la nostra connessione alla nostra Neshama Yetara, a questa anima aggiuntiva, ci è data la capacità di fare una correzione. E se non sentiamo o non risvegliamo questa gioia e questa aspettativa, la parte perfezionata della nostra anima, l’anima aggiuntiva, se ne va. Quindi è solo attraverso la gioia – durante lo Shabbat e anche durante la settimana – che attiriamo a noi una piccola parte di quella parte perfezionata della nostra anima. E durante la settimana, se siamo tristi, spingiamo via quegli elementi dell’anima aggiuntiva, quegli elementi della nostra anima perfezionata”.
Purtroppo, molti di noi sono così disconnessi da entrambe le parti della propria anima che anche dopo lo Shabbat non sentiamo o proviamo niente. Ma la lezione di questa storia è che ogni Shabbat ci è data l’incredibile opportunità di interagire con la nostra realtà perfetta, con la parte perfezionata che ognuno di noi possiede.
Questo concetto di Giacobbe e Israele, quindi, riguarda in realtà noi. Non possiamo essere chiamati “Israele” se non siamo connessi con la parte perfezionata della nostra anima. Se tutto va bene, da questo impariamo l’importanza di provare gioia – sicuramente durante lo Shabbat, ma anche durante la settimana. E quando capiamo questo ad un livello più profondo, sappiamo che per fare qualsiasi correzione dobbiamo essere connessi alla parte perfezionata della nostra anima, cosa che non possiamo fare quando siamo tristi.
Durante lo Shabbat di Vayechi ci è dato il bellissimo dono da una parte di connetterci al livello di gioia di “Israele”, e dall’altra di capire che per fare qualsiasi correzione, dobbiamo essere realmente felici.