Nel 1993, Amy Biehl, una promettente studiosa dell’American Fulbright ed attivista contro l’apartheid, si trovò all’interno del tumultuoso panorama del Sud Africa. Mentre guidava in un paesino vicino a Città del Capo, fu vittima di un atto di violenza insensato. Un gruppo di persone la attaccò, tirandole mattoni, picchiandola ed accoltellandola. Malgrado fosse con alcuni amici in quel momento, non fu loro possibile salvarla e, infine, fu dichiarata morta proprio sul posto. Aveva solo 26 anni.
Dopo la sua morte, i genitori si recarono a Città del Capo sia per ripercorrere i passi della figlia nel tentativo di comprendere cosa fosse accaduto, sia per riprendersi i resti di Amy per cremarla e riportarla negli Stati Uniti. Mentre mettevano via le cose della figlia, la madre, Linda, trovò i diari di Amy e, nel leggerli, trovò anche uno spunto per un moto interiore. Attraverso la lettura dell’amore che la figlia nutriva nel confronto del Sud Africa e delle sue condivisioni riguardo al lavoro che vi svolgeva, si accese un raggio di luce nel bel mezzo del suo dolore. Così, lei e suo marito, il padre di Amy, Peter, decisero di rivolgersi alla Truth and Reconciliation Commission per testimoniare nelle loro udienze post-apartheid.
La TRC, condotta dall’Arcivescovo Desmond Tutu, con le sue udienze mirava a far luce sulle atrocità dell’apartheid fornendo una piattaforma utile ad incontrarsi e a condividere le loro storie, sia alle vittime che ai responsabili. Serviva ad entrambe le parti come una opportunità perché entrambe le parti si cercassero guarigione e redenzione, perché potessero perdonare. I Signori Biehls parteciparono attivamente a questo processo, incontrando gli uomini che avevano preso parte all’attacco che aveva condotto alla morte della loro figlia.
E qui fermiamoci un attimo. Riuscite ad immaginare di sedervi di fronte alle persone che hanno assassinato vostro figlio? Riuscite a pensare di prendere la decisione di farlo? Probabilmente suscita emozioni come dolore, un senso profondo di offesa e un’accecante disperazione. Come non potrebbe farlo, del resto?
Anche i Biehls provavano senz’altro queste emozioni ma, nel presenziare alle udienze, scoprirono le complesse circostanze che condussero alla tragedia. Capirono che gli uomini che avevano perpetrato il crimine erano il prodotto di una società profondamente divisa, violenta ed oppressa - precisamente quella stessa società che la figlia era così dedita ad aiutare. Fu in quel momento che presero una decisione davvero radicale.
Supportarono attivamente il reintegro di quegli individui nella società, concedendo loro un’amnistia e facilitando il loro ingresso nel mondo del lavoro. Anzi, li aiutarono affidando loro posizioni che si trovavano nella loro organizzazione, la Amy Biehl Foundation, che avevano fondato in memoria di Amy per proseguire nella sua missione di supportare educazione e sviluppo in Sud Africa. Non solo perdonarono gli uomini che avevano ammazzato la loro figlia, ma gli diedero anche da lavorare, divenendo attivamente partecipi nel processo della loro riabilitazione.
Siamo in tanti a comprendere che perdonare è qualcosa di potente, ma farlo è qualcosa di completamente diverso. Questa storia è di ispirazione per me, non solo perché si tratta di un incredibile esempio di perdono, ma anche perché queste sono persone comuni, proprio come voi e come me. Sono riusciti a giungere ad un alto livello di perdono e compassione - ma si tratta di qualcosa che tutti possiamo fare - anche in circostanze impossibili.
Questo perché, diciamocelo sinceramente: come si può perdonare qualcuno per una simile atrocità?
Potrebbe sembrare persino che il perdono da parte dei Biehl abbia arrecato benefici ai soli colpevoli. Eppure Linda ha detto nelle tante interviste che ha concesso da allora, che quel perdono è divenuto una profonda fonte di guarigione per lei e per tutta la sua famiglia. Per via della sua grandezza, questo perdono è diventato una fonte di guarigione e di ispirazione per l’intero Sud Africa. E lo è ancora oggi.
Il mondo ha bisogno di questo tipo di perdono, così radicale. Richiede un ego che si arrende e un cuore pienamente aperto. Ci vuole di essere dediti alla compassione e alla gentilezza a qualunque condizione. Richiede lavoro - e così dovrebbe essere. Non sto certo suggerendo di perdonare le persone prima di esserci presi il tempo di farlo, come hanno fatto i Biehl, prima di aver cercato di capire perché qualcuno farebbe qualcosa di così doloroso. Dico, però, che è possibile…
Riusciamo ad essere curiosi sul perché qualcuno ci ha fatto del male?
Riusciamo a guardarci dentro e sentire il giudizio, o la paura o la rabbia per qualcuno che ci ha fatto del male per poi ammorbidirla, anche solo un po’?
Riusciamo a vedere la paura che si trova al di là delle parole o delle azioni offensive di qualcun altro? Riusciamo ad essere compassionevoli?
Cosa ci vorrebbe per perdonare a questo livello?
Queste sono senz’altro domande difficili, ma sono anche la strada per il vero perdono. Sono i primi passi nel percorso verso l’essere capaci di perdonare - e trasformarci e guarire - proprio come hanno fatto i Biehl.
“La trasformazione comincia con noi, dovunque ci troviamo, qualunque cosa ci sia successa, in qualunque modo si stia soffrendo. La trasformazione è sempre possibile. Non guariamo isolandoci. Quando ci rivolgiamo agli altri e ci connettiamo a loro - quando raccontiamo la storia, diamo un nome al dolore, perdoniamo e rinnoviamo o liberiamo quella relazione - allora la sofferenza comincia a trasformarsi”. –Desmond Tutu